Pro Pace Mundi è un’associazione no profit che nasce da un’esperienza concreta, vissuta sulla pelle e nel cuore, in alcuni dei contesti più fragili del mondo.
Siamo nati dall’ascolto. Dall’osservazione attenta delle vite ai margini, delle sofferenze, delle ingiustizie, ma anche delle risorse, delle capacità e dei sogni delle persone.
Il nostro lavoro è semplice nella sua intenzione e complesso nella sua realizzazione: stare accanto alle persone più vulnerabili, accompagnarle, costruire con loro percorsi di riscatto, dignità e futuro.
L’esperienza prende forma nel 2019, nella città di Goma, in Repubblica Democratica del Congo, grazie all’intuizione e al lavoro di Marco Rigoldi, oggi missionario laico Fidei Donum della Diocesi di Vicenza. Anni passati tra bambini di strada, famiglie in emergenza, ragazzi detenuti, orfani, malati e vittime di violenza.
Nel gennaio del 2025, a causa della guerra esplosa nella regione del Nord Kivu, il progetto ha dovuto lasciare il Congo e trasferirsi a Kigali, capitale del Rwanda. Un cambio di paese, ma non di missione. Restiamo al fianco delle stesse fragilità, degli stessi bisogni, delle stesse persone dimenticate.
Oggi Pro Pace Mundi continua ad agire concretamente in Rwanda, nelle periferie più fragili di Kigali, accanto a bambini senza famiglia, giovani a rischio, donne vittime di violenza, famiglie in condizioni di estrema povertà.
Il nostro modello unisce le esperienze maturate sul campo in Africa con gli strumenti, le idee e i valori che ci portiamo dietro dalla nostra cultura di origine. Un ponte tra mondi, tra tradizioni, tra modi di vivere e di sperare.
Siamo un’associazione libera, senza scopo di lucro, indipendente da governi, partiti politici e grandi ONG internazionali. Ci sosteniamo grazie alla generosità di chi crede in questo progetto.
MARCO & ARIELLE ANGELIQUE
Marco Rigoldi e Arielle Angelique Maweja Mulaya sono marito e moglie, genitori di Gaetano Maweja, ma prima di tutto due persone che hanno scelto di spendere la propria vita per gli altri e per la pace.
Marco nasce il 17 luglio 1995 a Novoledo di Villaverla, un piccolo paese della provincia di Vicenza. Cresce in un contesto semplice, fatto di valori, di comunità e di servizio. Fin da bambino dedica il suo tempo alla parrocchia, alla musica, ai giovani e al volontariato. Dopo il diploma come tecnico della ristorazione, lavora per anni come panettiere, un mestiere che ama profondamente, ma nonostante gli affetti, gli amici, le passioni e il legame con le sue radici, sente che la sua vita è chiamata a qualcosa di diverso, qualcosa che va oltre.
Dopo mesi di discernimento, il 22 agosto 2018 parte per Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. È il suo primo volo, il primo grande salto nel vuoto. Arriva in una città ferita da guerre, ingiustizie e povertà. Qui inizia la sua missione come laico fidei donum, occupandosi della trasformazione delle materie prime in prodotti alimentari e insegnando ai giovani l’arte del pane e della pasticceria.
È proprio a Goma che incontra Arielle, giovane ragazza congolese nata il 22 luglio 1999. Cresciuta in un contesto familiare segnato da grandi difficoltà e profonde ferite, Arielle è una donna determinata e caparbia, con una fede incrollabile e un desiderio forte di essere utile al prossimo. Dopo un anno di studio a Nairobi, rientra a Goma e termina all’università, laureandosi in sanità pubblica. È proprio in questo periodo, al suo rientro da Nairobi, che le loro strade iniziano ad incrociarsi più da vicino.
Marco nel frattempo ha iniziato a panificare ogni giorno circa 200 pezzi di pane che distribuisce ai bambini vulnerabili e dimenticati della città. Non è raro che ne dia una parte anche ad Arielle, che li distribuisce ai più poveri del suo quartiere. È un legame che cresce piano piano, fatto di stima, di condivisione, di sogni comuni, ma anche di molta concretezza.
L’esperienza quotidiana con i bambini di strada, con le loro ferite, le loro storie, la povertà estrema, porta Marco a comprendere che distribuire pane in strada non basta. È un gesto buono, ma non risolve il problema. C’è bisogno di qualcosa che sia un ponte tra la strada e la casa. Un luogo sicuro, dove poter curare, educare, ascoltare e costruire futuro.
Con questo desiderio nel cuore, nel 2019, Marco fonda con un gruppo di sostenitori italiani CASA GOMA Association, un’associazione locale congolese che nasce per offrire accoglienza, protezione e opportunità ai bambini più vulnerabili della città. Il Centro CASA apre ufficialmente il 13 luglio 2020 a Goma. È un sogno che diventa realtà: una luogo in cui accogliere, una scuola interna, cucina, spazi per il gioco, refettorio, docce, laboratorio, un luogo dove decine di bambini e bambine trovano finalmente amore, protezione e sicurezza.
Arielle, intanto, porta avanti i suoi studi e, una volta terminata la laurea triennale in sanità pubblica, decide di entrare pienamente nel progetto di CASA GOMA. Diventa parte integrante del team, assumendosi fin da subito grandi responsabilità, portando competenza, organizzazione e soprattutto quella cura che si trasforma in uno dei pilastri del progetto.
Nel frattempo la loro relazione cresce, maturano insieme, condividendo sogni e fatiche. Il 5 maggio 2022 si sposano civilmente a Goma e il 22 ottobre 2022 celebrano il matrimonio religioso in Italia, a Novoledo, il paese dove Marco è nato e cresciuto.
Ma la vita, ancora una volta, li mette davanti a una prova durissima. Nel gennaio 2025, durante l’arrivo degli M23 a Goma, la situazione della città precipita a causa dell’ennesima guerra.
Il 26 gennaio, con Arielle incinta di otto mesi, i due si rifugiano a Gisenyi, pensando che gli scontri sarebbero durati poche ore, al massimo un paio di giorni. Il 27 gennaio vivono l’inferno sulla terra. Decine, centinaia di bombe cadono tutte attorno alla casa in cui si trovano. Sei ore di attesa, in cui si convincono che la morte arriverà inevitabilmente. Dopo queste ore prendono la decisione di rischiare: sotto le bombe e i proiettili buttano quello che riescono a prendere dentro l’auto e scappano da Gisenyi a tutta velocità. Scopriranno poi che la casa accanto a quella in cui erano, e quella davanti, sono state totalmente distrutte da bombe da mortaio.
Arrivano a Kigali dopo ore di strada. Si guardano negli occhi e comprendono che non possono più garantire sicurezza né ai bambini, né ai collaboratori, né a loro stessi. È la scelta più dolorosa, ma inevitabile: devono sospendere le attività di CASA GOMA e lasciare la città per il prossimo periodo. Arielle, a breve, deve partorire.
Sono spaesati, traumatizzati, ma non possono fermarsi. Passano i primi giorni in un hotel, poi trovano un piccolo appartamento in affitto. Si stabiliscono lì e riescono a farsi arrivare qualcosa da Goma, soprattutto le cose che avevano comprato per il figlio. Gaetano nasce il 17 febbraio 2025, solo una ventina di giorni dopo aver rischiato la vita così brutalmente.
La famiglia non può tornare a Goma, ma neppure in Italia. Gaetano non ha il passaporto. Così viene richiesto quello italiano, che arriva dopo tre mesi. In quei tre mesi, però, la coppia non si dispera. All’inizio pensa che a Goma la situazione si stabilizzerà, si calmerà… poi si rendono conto che non è così.
A Goma è tutto chiuso, ci sono regole rigide, coprifuoco, insicurezza generale. È un pericolo troppo grande tornare, un pericolo troppo grande anche solo pensare di riaprire le attività, sia per i bambini sia per i lavoratori del centro. Inoltre, non ci sono contanti. La vita è precaria.
Così la coppia passa qualche settimana di sconforto, finché non inizia a nascere un’idea folle ma possibile: trasferire la missione in Rwanda, un paese che, dopo aver conosciuto l’inferno del genocidio, ha saputo ricostruire pace, stabilità e speranza, ma che ancora necessita di molto aiuto.
Cominciano a incontrare persone: preti, congregazioni, ONG… visitano case, contattano avvocati per capire le leggi nuove per creare e gestire un’associazione locale ruandese, l’immigrazione per i permessi di soggiorno, i camion per trasferire da Goma a Kigali tutto il necessario per aprire l’associazione in questa nuova missione.
Mettono insieme le idee, le conoscenze, ma mancano soldi e forze. Arriva il passaporto di Gaetano e così, nell’estate del 2025, tornano in Italia. Fanno incontri in cui informano le persone su questo loro desiderio e progetto. La gente li ascolta, li accoglie, li sostiene.
Nasce così Pro Pace Mundi, un progetto che porta dentro di sé tutta la loro storia, le loro ferite, ma soprattutto il loro desiderio di essere costruttori di pace. Un nome che non è solo un nome, ma una dichiarazione di intenti: vivere per la pace nel mondo.
Oggi sono a Kigali, con il figlio Gaetano Maweja, a continuare quello che hanno iniziato anni fa. Non più a Goma, ma con lo stesso spirito, la stessa determinazione e la stessa fede. Lavorano per sostenere le famiglie vulnerabili, accompagnare i bambini nell’educazione, creare opportunità, formazione, lavoro e, soprattutto, relazioni, comunità, fiducia.
Questa non è la storia di due persone speciali. È semplicemente la storia di due persone normali che hanno scelto di credere che, nonostante tutto, la pace si può costruire. Anche quando crolla tutto, anche quando la vita mette in ginocchio. Anzi, proprio da lì si può ricominciare e migliorarsi.
Perché la pace non è un sogno astratto. La pace è una scelta quotidiana. E loro, ogni giorno, scelgono di stare dalla parte del bene.